LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 27

 

30 aprile 2017 – 3^ domenica di Pasqua

Ciclo liturgico: anno A

 

Signore Gesù, facci comprendere le Scritture;

arde il nostro cuore mentre ci parli.

 

Luca 24,13-35                        (At 2,14a.22-33  -  Sal 15  -  1 Pt 1,17-21)

 

O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane.


 

  1. Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme,
  2. e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
  3. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro.
  4. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
  5. Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste;
  6. uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”.
  7. Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;
  8. come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
  9. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
  10. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba
  11. e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
  12. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.
  13. Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!
  14. Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.
  15. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
  16. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano.
  17. Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro.
  18. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
  19. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
  20. Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”.
  21. Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,
  22. i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”.
  23. Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
    Spunti per la riflessione

 

Deficienti

Ci vuole del tempo per convertirsi alla gioia del Nazareno, siamo onesti.

Ci è più connaturale il pianto, la lamentazione, lo sconforto. Tutti abbiamo migliaia di ragioni per sentirci perseguitati, incompresi, a credito verso Dio e il mondo.

Allora, certo, sentiamo una certa affinità con la croce. Ci piace, tutto sommato.

Perché, in fondo, proiettiamo la nostra frustrazione addosso a Dio.

Come a dire: non sono l’unico a tribolare, lo ha fatto anche Gesù, lo ha fatto anche Dio.

E via a crogiolarci nella nostra sfortuna, dicendo pure che dobbiamo portare la croce, sentendoci autorizzati a piangerci addosso nei secoli eterni. Sfigati e benedetti.

Allora il risorto si rimbocca le maniche e ci viene a pizzicare uno ad uno.

E ci scuote, ci sveglia, ci accompagna fuori dal sepolcro.

Lui il sepolcro l’ha abbandonato.

Noi no.

Ecco perché il risorto si prende la briga di rincorrerci sulle strade del mondo.

Chiedetelo ai due discepoli di Emmaus.

 

Aria

Meglio lasciare Gerusalemme, tira una bruttissima aria.

I discepoli sono tutti fuggiti o rintanati nel cenacolo.

Due fra questi hanno preso la strada verso casa. È lì che si affianca uno sconosciuto, un viandante come loro. Attacca bottone chiedendo ragione dei loro discorsi.

Si fermano, i discepoli, quasi offesi: non si vede a sufficienza che stanno male? Che sono tristi? Che sono meritevoli di commiserazione? Ma dove viene questo zotico, buzzurro, insensibile? Ma dove vive? Non sa le cose spaventevoli che sono successe a Gerusalemme?

Gesù sorride: che cosa?

Parlano della sua morte, del suo strazio, della sua croce. Nemmeno se ne ricorda.

Sono tristi, i discepoli, e pronunciano la madre di tutte le frasi tristi del Vangelo: noi speravamo.

La speranza declinata al passato. Una speranza sepolta.

 

Deficienti

Gesù lascia dire. Poi passa al contrattacco.

Volano sonori ceffoni. Idioti. Ritardati nel sincronizzare il loro cuore con il tempo di Dio. Deficienti, cioè manchevoli di prospettiva.

Come noi.

Mica conoscono le Scritture, macché. Le ascoltano devotamente a Messa e poi le mettono nel cassetto delle devozioni. La vita è un’altra roba.

Se imparassimo, invece!, a lasciare che la Parola ribalti le nostre vite! E le rianimi! E le smuova! E le frantumi, se necessario! Se lasciassimo Dio ribaltare i tavoli dei nostri templi! Scuote, irrompere, smuovere, ribaltare!

Le pietre sono rotolate, ma i cuori dei discepoli no.

Si scaldano però. Riescono a distogliere lo sguardo dal loro ombelico. Era l’ora.

Resta con noi, Signore.

 


Segni

Resta. Si ferma.

Non tira diritto il Signore, se appena accenniamo al cambiamento (non dico alla conversione). Resta, sì. Perché la Parola ha incrinato la loro granitica disperazione, la loro feconda autocommiserazione.

E accade.

Il segno del pane. Lo conoscono bene

Resta il pane, lui non c’è più, ora.

 

Dietrofront

Tornano a Gerusalemme.

Dagli altri tardi di cuore. Quante volte dovrà apparire il Signore per convertirli?

Raccontano e tutti sono in fibrillazione. Veniamo a sapere che il risorto è apparso anche a Simone, non più Pietro. Non dev’essere andata molto bene quella apparizione, nessuno ne parla.

E mentre parlano, appare anche fra loro.

Quando raccontiamo di come abbiamo incontrato il risorto, il risorto viene.

 

Eccoci. Ancora.

Deficienti e tardi e tristi.

Saremmo da prendere tutti a calci nel sedere. Fino a cadere esausti.

Il Signore no, non lo fa. Ancora pazienta, scuote, racconta, spiega, spezza il pane.

Immenso Dio.

 

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

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Esegesi biblica

 

I due discepoli di Emmaus (24, 13-35)

L’apparizione del Risorto ai due discepoli di Emmaus è uno degli episodi più conosciuti del vangelo di Luca. Ma è soprattutto l’episodio chiave per ricordare la catechesi lucana sulla risurrezione.

Il problema sembra essere questo: dove posso incontrare il Signore risorto e come posso riconoscerlo?

Tutto il lungo racconto è costruito sullo schema di un cammino di andata e ritorno, che si trasforma in un cammino interiore e spirituale:

 

         - dalla speranza perduta (“speravamo”) alla speranza ritrovata,

         - dalla tristezza (24,17) alla gioia (24,32),

         - dalla Croce come scandalo che impedisce di credere, alla Croce come ragione per credere.

 

La condizione essenziale per riconoscere il Risorto - senza la quale non lo si riconosce come un compagno di viaggio - è la comprensione della necessità della Croce (24,26), che a sua volta richiede l’intelligenza delle Scritture (24,27).

La crocifissione non ha spezzato il cammino di Gesù: questa è la cecità dei due discepoli che impedisce loro di credere. Tutta la catechesi che Gesù rivolge loro non ha altro scopo che quello di capovolgere il loro sguardo.

Non è Lui che deve cambiare il volto perché possano riconoscerlo: è il loro modo di vedere la sua storia che deve capovolgersi. Difatti il gesto che apre loro gli occhi è la frazione del pane, un gesto che riporta la memoria all’indietro, alla vita di Gesù terreno qui riassunto nel ricordo della cena (una vita in dono, un pane spezzato) e alla memoria della Croce che è il compimento di quella dedizione.

 

Ma la “fractio panis” è anche un gesto che porta in avanti, al tempo della Chiesa, in cui i cristiani continueranno a “spezzare” il pane. Spezzare il pane e distribuirlo (24,30) è un gesto riassuntivo che svela l’identità permanente del Signore: del Gesù terreno, del Risorto e del Signore presente ora nella comunità.

 

In tutte le tappe del suo cammino Gesù conserva la medesima identità, quella che è svelata nel suo cammino terreno, resta come punto di riferimento per riconoscerlo anche come Risorto.

Il discepolo che ha capito questo non ha più bisogno di “vedere”; una volta riconosciuto, il Signore sfugge al possesso, ma il discepolo ormai sa quali sono i tratti essenziali che identificano la sua presenza e quale sia il luogo in cui incontrarla.